09 febbraio 2013

quella specie di addio





















Ero di quelle che non lo manifestavano com'erano dentro.
Forse anche per quello sono finita a far la scrittrice.
Erano gli anni in cui la gente fa tutto quel gran parlare attorno a sè, tipico della post adolescenza, degli ormoni impazziti, dell'adrenalina nel corpo e nella mente che ti fa dire anche quello che non vorresti, anche più del dovuto perchè c'è un'urgenza espressiva, un sangue caldo dentro che pulsa ed è, per certi, troppo.
E lui era uno di quelli fatti così, in più ci metti che aveva amici di bar che parlavano poco delle cose serie della vita, perciò appena trovava qualcuno disposto a non alzarsi dagli sgabelli dei pub in quei sabati sera di nebbia emiliana, beh, ne approfittava. E io molte volte sono rimasta lì ad ascoltarlo, più per pigrizia e più per le pinte di birra che mi inchiodavano al tavolo. E perchè aveva gli occhi proprio belli.
E poi tutti quegli anni erano passati ed erano successe tutte quelle cose che succedono quando la gente sta poco attenta ai dettagli.
Ogni tanto c'erano quelle lettere che continuava a scrivermi anche quando cambiavo indirizzo. Non ho mai capito come scoprisse dove andavo a cambiare casa.
Io non lo so se quando stavo ad ascoltarlo, e il più delle volte mi faceva proprio incazzare, era perchè gli volevo un bene speciale.
Io non lo so se in quegli occhi c'avevo trovato quella parte di me che gli occhi li chiudeva.
Io non lo se dopo tanti anni ci penso perchè fa parte del mio passato o vorrei facesse parte del mio futuro.
Io non lo so perchè più a volte vado lontano, nel mondo, dall'altra parte, e più mi viene voglia di abbracciarlo perchè lui sta ancora dove io sono nata.
So solo che devo ringraziarlo, anche se non vorrei, per quello che ho scritto nel mio romanzo.

So che lui non avrebbe voluto, ma in un certo senso ne è responsabile.