17 aprile 2008

Tullahoma, Tennessee



Jessica mi aspettava sempre al primo incrocio dopo la Mean Street.
Aveva una Ford scassata degli anni '80, che era stata di suo padre morto di cirrosi.
E aveva il vizio d'indossare un vestito che sembrava rubato ad uno spaventapasseri.
Diceva fosse il più bel vestito del suo armadio.
Era una bella ragazza ma si trascurava, perciò risultava molto peggio di quello che sarebbe potuta essere con un filo di rimmel e un rossetto adatto alla sua pelle di rossa d'origine irlandese.
Quando si usciva, la sera, e si andava in qualche pub di Tullahoma,
per ascoltare un pò di musica da un juke box e magari conoscere qualche ragazzo, lei finiva sempre per ubriacarsi e lamentarsi con frasi come "la vita fa schifo" o roba così e poi prendeva a pugni la gente lì intorno.
Due volte su tre ci cacciavano.
E poi si lamentava di non riuscire a rimorchiare ragazzi.
Di giorno lavoravamo entrambe in un supermercato. E' lì che c'eravamo conosciute.
Io ero appena arrivata dall'Italia e mi mantenevo con quel lavoretto.
Lei invece aveva sempre abitato lì.
Diceva che ero pazza ad aver scelto di venire in quel buco di culo di posto.
Io avevo semplicemente messo un dito sulla cartina del Tennessee e il dito era caduto su Tullahoma.
E come spiegarle che avevo scelto il Tennessee perchè si chiamava come uno scrittore che adoro, quando lei nemmeno sapeva dell'esistenza di quello scrittore?
Jessica non aveva amici, per quello si aggrappò a me.
E io che venivo da lontano e non conoscevo nessuno, per un pò sono stata al gioco.
Poi una sera, forse perchè aveva già preso a pugni mezza città, se la prese con me.
Mi insultò con parole di cui facevo fatica a capire il significato. Era un inglese stretto di quelle zone che io ancora non masticavo.
Avrei potuto lasciar correre, e dar la colpa all'alcool che aveva in corpo, non fosse che ha preso a graffiarmi la faccia con le unghie e a darmi calci e pugni, così all'improvviso, dentro all'abitacolo della sua Ford.
Io ho solo cercato di correre via.
Non volevo farle del male rendendole gli schiaffi.
Dopotutto mi faceva più pena che rabbia.
Il giorno dopo al supermercato non c'era, e non ci fu per un'intera settimana.
Tornò con le labbra rifatte di silicone e una gonna corta che le si vedevano le mutande.
Non mi ha mai più rivolto la parola e io ho fatto altrettanto.
Solo una volta, me la sono ritrovata davanti alla porta del motel dove avevo affittato una stanza.
Aveva piazzato non so come una poltrona davanti alla porta rosa, però non ci si era seduta. Aveva aspettato in piedi che tornassi, con una bottiglia di wisky in mano.
Era sbronza da fare schifo, e aveva del sangue addosso.
Mi disse d'essersi fidanzata con uno di Chattanoga e che era felice.
Che era uno come lei, un passionale d'origine irlandese che non aveva paura delle sue unghie affilate.
Ci teneva a dirmelo, perchè riteneva che in fondo ci fosse una giustizia al mondo.
Dopo quella volta non l'ho mai più vista.
Non so perchè un sacco di volte ho immaginato l'avesse scannato, quel poveraccio d'irlandese, e dopo averlo seppellito se ne fosse scappata in Messico.

ipse dixit:
"Gli americani non sono romantici come i loro film"
(Tennessee Williams, La primavera romana della signora Stone)

04 aprile 2008

sono un clown che si esibisce in un circo che non conosce





Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis Di Bisanzio Gagliardi

01 aprile 2008